CAHIERS DU TRIANGLE (Saint Etienne (F) - Settembre 1996, Salonicco (E) - Giugno 1997, Bologna (I)- Gennaio 1998): |
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Non costituisce certo un caso particolare il fatto che due artisti, avviatisi singolarmente e giovanissimi in percorsi individuali, ad un certo punto decidano, in piena e programmatica consapevolezza, di intrecciare vita e lavoro. Un intreccio ed un legame che sembrano avvantaggiarsi non tanto nello scambio o nel confronto, ma proprio nella capacità di integrarsi e di rendere indefinibili i confini dell’uno e dell’altro. Non saremo certamente noi a tentare di decifrare questa simbiosi o questo sentire comune; tanto i risultati ci appaiono comunque positivi e forse di una più intensa qualità dialettica e di linguaggio. E poi, soprattutto, il nuovo modello “binario” (se così potremmo definirlo) affronta dall’interno il problema dell’alterità e del doppio, attraverso una serie di interventi in cui la “messa a fuoco” delle dinamiche comportamentali e rappresentative del reale si risolvono nel molteplice e nel plurale. Dal punto di vista degli interventi e dei lavori che acquisiscono una spazialità libera e articolata nelle forme e nei codici comunicativi, via via affrontati e utilizzati con estrema e tagliente libertà, si delinea un percorso di scambi e di mutazioni nel genere e nel ruolo di una funzione “estetica” comunemente riconosciuta. Non si tratta tanto di sollecitare una inversione o un semplice straniamento, quanto di concretizzare nella presunta ovvietà del quotidiano, l’improbabile (ma inevitabile) incontro di diversi livelli di “mondo”. Nel percorrere a ritroso i bordi e i confini del reale senza alcuna volontà di surclassare o di iper-valutarne il risvolto mitico e onirico, Dragoni-Russo imprimono uno scarto di valutazione nel doppio gioco ironico e trasversale del dato di fatto. Si prendono alla lettera metafore visive e si solidificano ritratti in metamorfosi; così come si sottolineano i tratti di una fisionomia della realtà come emblema denso e saturo di significato. Le forti tematiche dell’identità e della malattia, del sacro e del “diverso”, dell’-esemplare- e dell’eccezione, diventano la norma e la regola entro le quali stabilire un nuovo tragitto di conoscenza. Di nuovo il mondo come “necessità” di rappresentazione sullo scenario mutevole ed impegnativo dell’intesa e della complicità. Le immagini e i luoghi dell’evento rappresentativo si collocano sempre nello scarto sensibile che devia dall’ordine delle convenzioni. E l’apporto vitale del linguaggio si riconnette e si ritempra nell’adesione ad una forma retorica priva di simulazione o di artificio. Sottolineando l’evidenza del paradosso, la dinamica estrema dell’accettazione della realtà instaura un contatto diretto con lo spettatore; e lo rende partecipe di una dimensione in divenire. Il grado e la qualità testimoniale della fotografia, non tanto nell’accezione del reperto o del frammento compartecipato di memoria, si traducono in “spasmi” esistenziali sottoposti al lucido rigore di un taglio metonimico. Tuttavia il disincanto della messa in opera e, a volte, la perfetta aderenza ai moduli compatti della maniera still-life, accettano di proiettarsi nella versatile doppiezza del kitsch. Ribadendo ancora una volta una necessità di incontro e di adesione alla pluralità e alla molteplicità vagante non solo dei punti di vista, ma anche delle figure reali e concrete che marcano e definiscono uno spazio di adesione ai bordi dell’-io- e del -noi-.
Roberto Daolio
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